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Gestire “in autonomia” le “innovazioni” legislative

di Giancarlo Cerini

Non solo per “difendersi”
Il titolo vuole essere un invito a non perdere di vista la scuola quotidiana, con i suoi affanni e le sue incertezze, ma anche le sue potenzialità. Certo, il richiamo all’autonomia rischia di apparire
strumentale, sembra fatto apposta per una scuola che vuole difendersi (l’autonomia come un castello medievale, in cui alzare i ponti levatoi e resistere il più a lungo possibile…), per difendersi da riforme che sembrano nascere da ragioni economiche piuttosto che culturali (e comunque sono nate da processi politici e legislativi molto veloci, che non hanno consentito nemmeno di presentare le rispettive ragioni). Parlare di “gestione” significa che siamo nell’ambito delle micro politiche di istituto, di ciò che è nella nostra disponibilità come operatori scolastici. Sappiamo che le ricerche comparate ci dicono che la scuola italiana ha scarsissimi livelli di autonomia, inversamente proporzionali all’elogio della libertà –e dell’autonomia- che si fa a piene mani nei documenti ufficiali. Non è molto ma vale la pena esplorarlo.
Affrontiamo dunque il livello “micro”, non quello “macro” (delle scelte politiche). Anche se dobbiamo essere consapevoli che il livello “macro” ci condiziona profondamente. Pensiamo alle risorse (gli organici), pensiamo ai quadri di riferimento culturali (i programmi), ai processi valutativi (il sistema nazionale di valutazione)… alla stessa definizione dell’autonomia (che non è
originaria, ma conferita dall’ordinamento). Non è negativo questo richiamo agli “argini”, infatti quello delineato dalla Costituzione è pur sempre un sistema nazionale di istruzione (sistema educativo di istruzione e formazione, ci ricorderebbe Tiriticco). Anzi, il rischio è che l’autonomia senza argini si trasformi in una scuola “fai da te” (creativa, bella, certo, ma anche troppo dipendente dalle tante spinte positive e negative che troverà sul suo cammino). A questi rischi sembra riferirsi la Corte Costituzionale nella recente sentenza 200/2009, che sembra meglio delimitare il ruolo di Regioni e di Enti locali.
 
Il discorso sulle risorse, però, non si può eludere: quante ne avremo?
Intanto c’è un evidente problema di risorse professionali (organici). Purtroppo nel nostro Paese continua la critica verso l’elevato numero di insegnanti del nostro sistema educativo. Con un sentimento negativo verso i pubblici dipendenti, che ha travolto anche i nostri gioielli di famiglia (penso alla scuola elementare, e alle questioni connesse della pluralità docente e delle compresenza). E’ un problema che lambisce tutti gli ordini scolastici: tempi grami anche per la compresenza alle superiori, anche se magari nei progetti di riforma si enfatizza il valore della didattica operativa e laboratoriale. Insomma gli 87.000 insegnanti in meno in un triennio (e non parlo del personale ATA) sono lì, scolpiti nelle dure tavole delle leggi finanziarie. Non è bastato motivare il perché: piccole scuole, handicap, modelli organizzativi arricchiti: la mala-scuola ha fatto aggio sulla “buona scuola”. E’ il 15% in meno di personale: sono 8 insegnanti in meno in ogni scuola (ognuna faccia i conti in casa sua).
La domanda è se si tratta di una operazione di ottimizzazione delle risorse (gli economisti dicono così) o se è a rischio la struttura-base del servizio educativo; se sono le prove generali di LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni), in cui il livello essenziale garantito dalla fiscalità generale (dai fondi statali) tende a comprimere il servizio educativo: 27 ore nelle elementari (24 proprio non è gara), 30 nelle medie, ecc. chi desidera modelli più ricchi deve cercarsi le risorse. E’ la dura legge del federalismo fiscale e della sussidiarietà, che potrebbe riguardare molti aspetti della nostra organizzazione scolastica, all’handicap, agli stranieri, ai laboratori, ai servizi di cura della persona.
Si impone una delicata operazione di negoziazione con i partner del territorio: in particolare i Comuni e le Province. Se si chiude una piccola scuola, dovrà esserci, lì vicino, un’alternativa credibile e migliore: per spazi, strutture, sicurezza, stabilità dei docenti; se si allunga un tempo scuola, qualcuno dovrà occuparsi dei servizi di supporto e di assistenza (potrebbero dirmi che la
mensa non è un LEP, ma anche un laboratorio, il corso di teatro, l’attività sportiva, potrebbe non
essere più un LEP). Oggi è già così, ci sono comunità che investono di più sull’education (non è il caso che dica Trento o Modena, territori che propongono alla scuola dei veri e propri repertori di saperi diffusi nei loro musei, nelle loro imprese, nei centri culturali): la qualità viene da lontano, sono processi che richiedono tempi lunghi, uno stile di governo concertato, l’ottica del bene “migliore” per gli allievi, insomma servono “virtù civiche” che molto spesso latitano…
 
Ma c’è uno spazio operativo per la scuola dell’autonomia?
 
 Ad ogni istituzione scolastica autonoma –parliamo del primo ciclo di istruzione- viene assegnato un organico funzionale di istituto che terrà conto del numero delle classi (che saranno leggermente più affollate) dell’orario base di funzionamento della scuola (la riconferma del tempo pieno funzionante), delle esigenze per il sostegno (riconfermato nella medesima quantità, forse), della “copertura” del servizio di refezione scolastica, dal fabbisogno per religione cattolica e lingua inglese (visto che i posti degli specialisti saranno assorbiti solo gradualmente). Nell’ambito di questa dotazione sarà consentita una certa libertà di manovra ai dirigenti scolastici. Basta richiamare gli artt. 4 e 5 del Dpr 275 in materia di autonomia organizzativa e didattica, di impiego del personale docente, con spazi non del tutto esplorati… E’ qui che si deve vedere una “comunità professionale” non un insieme di insegnanti “sfusi”…

Il tempo scuola: la domanda (stavo per dire, il mito…) è ancora forte
La scuola di base italiana ha una stratificazione di tempi scuola assai differenziati: pensiamo al 91% di t.p nella materna, al 25-26% delle elementari ma con articolati modelli orari arricchiti  (1) ad una scuola media con un’area di tempo lungo consistente. Come attestano recenti sondaggi d’opinione (Eurispes) il 65% degli utenti è preoccupato che la riduzione del tempo possa impoverire l’offerta formativa della scuola. Molti studiosi direbbero che non c’è una prova provata di questo legame:che l’andar bene a scuola dipende da altri fattori e da altre responsabilità degli adulti… (leggere l’atto di accusa dell’economista Luca Ricolfi)2.
Dietro la richiesta di maggior tempo si nota senza dubbio una domanda sociale forte, in relazione all’organizzazione famigliare ed agli orari di lavoro dei genitori. Ma non è da meno il profilo “pedagogico” dei modelli orari lunghi, che nascono da tradizioni collaudate anche se minoritarie (come il tempo pieno) e dalle più recenti evoluzioni normative (come è il caso delle 30 ore “lanciate” dalla riforma del 1990), in entrambi i casi con la motivazione di costruire una giornataeducativa più distesa, equilibrata, ricca di una pluralità di esperienze (apprendimento, relazione,espressività, gioco, mensa, ecc.).
Non sempre questo è avvenuto, anche se gli orari si sono effettivamente dilatati. In molti casi il modello a 30 ore (che anche nelle domande di iscrizione dei genitori appare il più “gettonato”) si
struttura solo in orario antimeridiano, contravvenendo ad una elementare logica di distensione e qualità del tempo a scuola. Basti pensare ai modelli europei, alla cura dei momenti di relax, intervallo, di accoglienza (spesso però affidati ad operatori non docenti). Da noi esiste il mito del
pasto come “momento educativo”, poi invece i modelli organizzativi lasciano molto a desiderare
(per inesistenza di strutture, latitanza di enti locali, abitudini dei genitori, “convenienze” degli insegnanti).

Cosa si dovrebbe fare a scuola?

 Nell’organizzazione del tempo scuola dovrebbe essere promosso un criterio di “verità”: se il tempo è effettivamente lungo (con rientri pomeridiani), se esistono momenti di accoglienza, interscuola, refezione, se le strutture sono idonee ad ospitare allievi per l’intera giornata, se... se... allora andrebbero garantite le risorse di personale (docente in primis) per far fronte ad un modelloorganizzativo più ricco e complesso. Se invece la domanda di tempo fosse solo strumentale al salvataggio dei posti...allora bisognerebbe procedere con molto rigore… E non è indifferente il ruolo che gli Enti locali possono svolgere per qualificare il tempo scuola dei bambini. Sono (2) auspicabili intese locali, patti educativi e forme di collaborazione per costruire un rapporto “arioso” tra scuola ed extra-scuola e non è detto che tutto debba essere gestito dalla scuola. Sono maturi i tempi per forme più flessibili e dinamiche di gestione dei tempi dei bambini in una città. Ma la scuola non può essere lasciata sola.

La pluralità docente al tempo del maestro unico
Il punto dolente del dibattito, che inquieta migliaia di maestre (ma ne proprio siamo sicuri?) è stato il superamento del team docente, in favore dell’unico insegnante di riferimento (l’unico ad avere un “rapporto educativo pieno” –come dicono gli ineffabili estensori dell’atto di indirizzo). Anche qui però le sorprese non sono finite: nel sondaggio citato (Eurispes, 2009), oltre il 64% degli interpellati percepisce il ritorno del maestro unico come rischio di forte impoverimento della qualità della scuola elementare. Lo stesso Ministero se ne rende conto e nella linea informativa sulla riforma per i genitori (racchiusa in brochure e manifesti) si è affrettato a precisare che il “maestro unico di riferimento” potrà essere affiancato da insegnanti specialisti, come religione, inglese, musica, tecnologia, ecc.
Rimane dunque aperto uno spazio di ricerca sulla pluralità possibile: avremo un insegnante di classe impegnato su tutte le aree, comprese inglese e musica (si guadagna in unitarietà della proposta, ma si rischia di perdere in qualità)? oppure si mantengono –anzi, si rafforzano - le figure di docenti specialisti, che insegnano alcune discipline in più classi (si guadagna in competenza, si perde in continuità)? Ad esempio, l’accordo in terra trentina sul docente di inglese: lì c’è vera autonomia?

Cosa può fare la scuola autonoma?
 
Ci sono modelli di pluralità che sembrano riscuotere un persistente successo tra i genitori e gli insegnanti. Ci riferiamo alla duplice presenza di insegnanti in ogni sezione di scuola dell’infanzia e ai due docenti contitolari di ogni classe a tempo pieno. Talmente solidi da non essere intaccati nemmeno dagli ultimi provvedimenti di restrizione della spesa. Perché non “copiarli” e diffonderli anche nella restante parte della scuola elementare, quella che fino a poco tempo fa chiamavamo “dei moduli”? Azzardiamo una possibile ipotesi:
-salvaguardare una forma (più semplice) di team docente, con due docenti in ogni classe che si occupano di distinte aree disciplinari (es.: linguistico-espressiva, matematico-scientifica), magari a partire dalle classi terze;
-concentrare gli insegnamenti di base (quelli sopra citati) in una unica figura di riferimento (in particolare in prima e seconda elementare), da affiancare con figure docenti effettivamente competenti (in lingue straniere, tecnologia, musica, arte), però a disposizione di una intera scuola. 
 
Compresenze, è un addio definitivo?
La compresenza è certamente un oggetto giuridico strano, scarsamente tutelato dalle norme, che tutti oggi rimpiangono, ma che forse non è stata utilizzata con ragionevolezza quando c’era.
Oltre alla casualità della sua presenza (del tutto variabile a seconda di orari, mense, religione, inglese, supplenze, ecc.) quindi difficile da programmare, spesso osteggiata dai colleghi e dai dirigenti, molte volte utilizzata in forme improprie e routinarie (con il secondo docente che fa da “spalla” al primo, per “rinforzo” su alcuni allievi). E’ mancata, in questi vent’anni, una elaborazione adeguata sul significato pedagogico e didattico della compresenza ed è stato difficile spiegarlo ai genitori e, soprattutto, ai decisori politici, farne vedere i risultati e le convenienze per gli allievi.
Ci sono certamente dei problemi materiali: potrebbe diventare più difficile l’uscita di una classe per visitare un museo, compiere un’escursione, partecipare ad un evento teatrale, frequentare un laboratorio o un’aula didattica “decentrata”, ecc. Ci sono regole di sicurezza, responsabilità, vigilanza, da garantire. Ma ciò che dispiace non è il dover rinunciare ad una manciata di ore….
E’ invece un problema culturale: torna l’idea di un insegnamento frontale, di una didattica giocata prevalentemente in aula, di gruppi-classe che si vorrebbero omogenei (forse con le classi di inserimento?), con un approccio fortemente “insegnativo”, ove rischiano di essere sacrificate le dimensioni sociali, relazionali, operative dell’apprendimento. Il costruttivismo naviga in cattive acque.

Cosa può fare la scuola dell’autonomia?

L’organico funzionale potrà consentire di salvaguardare qualche ora di compresenza. Inoltre, la riconfermata presenza dei docenti di sostegno e di altri specialisti (inglese, religione, ecc.) mette a disposizione delle ore in cui più docenti sono presenti a scuola. Ci vorrebbe una compresenza “equa e solidale” (non legata alla causalità delle situazioni: una vera e propria “banca etica” delle compresenze, da gestire con una progettualità. Occorre sapere gestire con intelligenza.
Pensiamo ad un vero lavoro centrato sugli alunni (es.: le tecniche dell’apprendimento cooperativo), a forme di mediazione comunicativa, a modalità di ascolto, di cura educativa, di rapporti personalizzati tra allievi e insegnanti, dentro le aule, ma anche attraverso nuove modalità (tutorato, coaching, ecc.). E non è detto che certe attività (progetti, laboratori, ecc.) non si possano realizzare ugualmente: modificando lo stile di lavoro e coinvolgendo diversamente i colleghi.
Se non ci sono docenti nell’organico si potrà ricorrere a ore retribuite sul fondo di istituto per i docenti disponibili (già avviene per l’integrazione degli stranieri e per contrastare la dispersione).
Qualche ente locale potrebbe cominciare a surrogare interventi di assistenza al pasto e all’interscuola, liberando risorse per la didattica. E poi c’è sempre il modello finlandese…


Ma, almeno, sui curricoli, avremo margini di autonomia?
In materia di curricoli e Indicazioni nazionali emerge dal testo del Regolamento –almeno a parolela ricerca di elementi di continuità e di armonizzazione. Come non ricordare la precarietà delle ultime e delle “penultime” Indicazioni nazionali? (3)
Ma quali sono quelle realmente vigenti? Il riferimento è all’ultimo ultimo testo pubblicato cronologicamente in Gazzetta Ufficiale, che è quello delle Indicazioni per il curricolo del 2007 (D.M. 31-7-2007). Con una puntualizzazione che sa più da “onore delle armi”, cioè il richiamo anche alle Indicazioni Nazionali del 2004 che sarebbero state poi semplicemente “aggiornate” nel 2007. Si tratta forse di una precisazione “politically correct”, ma che non tiene conto delle profonde differenze tra i due testi. Certo. È meritoria l’intenzione di una “armonizzazione” delle diverse proposte curricolari, non fosse altro per evitare il disdicevole fenomeno del rapido ed effimero alternarsi di tanti testi programmatici negli ultimi dieci anni. Anche sui criteri della “semplificazione” del linguaggio e della “essenzializzazione” degli obiettivi non si può non convenire e certamente i due punti sono a tutto vantaggio della versione del 2007.

Due testi a confronto. Indicazioni 2004 e 2007
 
  Indicazioni nazionali (D.lgs 19-4-
2004, n. 59)
 Indicazioni per il curricolo (D.M.
31-7-2007)
Fondamenti valoriali Centralità della singola persona Centralità della persona, in rapporto
solidale con le diverse comunità di
appartenenza
Principi pedagogici Principio di personalizzazione
dell’insegnamento e
dell’apprendimento
L’insegnamento come
organizzazione dell’ambiente di
apprendimento e “costruzione” del
gruppo-classe
Formato curricolare Piani di studio personalizzati Curricolo di scuola e di classe
Finalità e profilo
formativo
Le finalità generali del processo
educativo si esplicitano nel
PECUP (profilo educativo
culturale professionale)
I traguardi per lo sviluppo delle
competenze delineano un profilo in
uscita per ogni livello scolastico
Obiettivi Obiettivi specifici di
apprendimento, come elementi
prescrittivi per la progettazione
didattica
Obiettivi di apprendimento, come
indicatori “strategici” della
progettazione didattica
Standard Contestualizzati in ogni specifica
unità di apprendimento
 Rinvenibili, a maglie larghe, nei
“traguardi per lo sviluppo delle
competenze”
Competenze Come esito di un processo
personale di appropriazione della
conoscenza
Come “tensione” verso
apprendimenti di qualità, implicanti
risorse cognitive, affettive, sociali
Discipline di studio 10 discipline obbligatorie (scuola
primaria e secondaria di I grado)
10 discipline obbligatorie (scuola
primaria e secondaria di I grado)
Aree o assi (Principi della sintesi e
dell’ologramma; della parte e del
tutto)
Tre aree disciplinari (linguistica,
storico-geografica, matematicoscientifica-
tecnologica)
Educazioni trasversali Educazione alla convivenza civile:
sei educazioni trasversali
(cittadinanza, salute, ambiente,
alimentare, affettiva, stradale)
Non sono previste educazioni
trasversali
Linee metodologiche e
didattiche
Viene definito un articolato
modello didattico basato su
obiettivi specifici, obiettivi
formativi, unità di apprendimento,
piani di studio personalizzati
Sono definiti alcuni criteri
metodologici di massima: ambiente
di apprendimento, didattiche attive,
laboratorio, pluralità dei linguaggi
Valutazione Privilegiate le modalità di
valutazione autentica (es.:
portfolio delle competenze) e l’uso
dei test standardizzati in chiave
diagnostica
Valutazione formativa e rilevazione
esterna degli apprendimenti; forme
di rendicontazione sociale
Continuità educativa Tre curricoli distinti tra scuola
dell’infanzia, primaria e
secondaria di I grado
Curricolo verticale e unitario tra
scuola primaria e secondaria di I
grado
Modelli professionali Equipe pedagogica dei docenti,
con la supervisione di un tutor
(anche nei rapporti con gli allievi)
Pari dignità e contitolarità dei
docenti responsabili del gruppo
classe
Modello organizzativo Curricolo obbligatorio essenziale
ed espansione mediante attività
facoltative ed opzionali
Unitarietà e integrazione dei diversi
aspetti del curricolo (educativo)
 
Ci sono dei margini di armonizzazione? Ci sono principi pedagogici nuovi all’orizzonte? Il dibattito sulla scuola è stato filtrato solo da questioni economiche, ci sono però delle questioni che non possiamo eludere: siamo contenti della nostra scuola, così com’è, o ci sono delle criticità che dovremmo “aggredire”? Come ci poniamo di fronte alla tematica del merito? La possiamo comunque interpretare in termini costituzionali e democratici? E che dire del rigore e del ritorno di criteri meritocratici? E’ un’agenda che può non piacerci, ma che dobbiamo affrontare con coraggio. Senza riduzionismi. Senza illusioni. Non è detto che intensificare la valutazione “esterna” porti di per sé a migliorare i risultati… o che la riscoperta del core curriculum (disboscando le troppe materie) porti a rafforzare gli alfabeti di base. Anche chi propende per una scuola seria (noi tra questi) non può interrogarsi sul significato delle competenze culturali chiave, che ormai l’Europa ci richiede….
C’è dunque da aspettarsi che il preannunciato “monitoraggio” affidato dal Regolamento sul primo
ciclo (art. 1, comma 4, del DPR 20 marzo 2009, n. 89) alle agenzie nazionali (ANSAS e INVALSI) veda la partecipazione delle scuole, non solo in quanto destinatarie di rilevazioni e osservazioni “in vitro” o “on line”, ma come protagoniste attive della ricerca didattica, della riflessione sulle metodologie, della valutazione degli apprendimenti. Sappiamo ormai, da un’ampia letteratura internazionale, che i cambiamenti nei curricoli sono veritieri e duraturi solo se scaturiscono da una consapevole adesione professionale del mondo della scuola, e nel confronto “critico” con gli ambienti scientifici e culturali. Non sarebbe inutile, su questo punto, una parola rassicurante dell’amministrazione (occorre dire di più nell’atto di indirizzo di cui parla il Regolamento) con l’indicazione delle modalità e degli strumenti con cui avviare un dialogo aperto tra Ministero,scuole e insegnanti.

Allora, micro o macro?
Come avete visto, ci siamo fatti prendere la mano anche dalle questioni “macro”. Ma “micro” e “macro” si inseguono e incrociano continuamente. Anche quando agiamo nel nostro piccolo per gestire il quotidiano, o dobbiamo assumere una delibera in un organo collegiale, o emanare un atto di nostra competenza, le grandi questioni ritornano. Quando andiamo a prendere decisioni sull’organizzazione, sui tempi, sulle forme di docenza, non possiamo non farci guidare dalle grandi domande…
Ci dobbiamo ricordare di questo, quando andremo a confrontarci con i nostri partner:
a) attivare un rapporto dinamico con la comunità, i genitori (ma anche gli altri stakeholder..), ai quali la normativa affida un ampio diritto di scelta sui modelli orari ed organizzativi, ed ai quali va proposto il progetto migliore in ogni contesto, superando pigrizie e convenienze, per trasformare gli utenti nei migliori alleati per i prossimi mesi;
b) utilizzare fino in fondo gli spazi giuridici contenuti nel regolamento sull’autonomia, per delineare le caratteristiche dell’organizzazione dell’insegnamento. Nell’ambito delle risorse assegnate, si può continuare a praticare la pluralità docente, certamente come modello innovativo, da deliberare a cura degli organi collegiali competenti, con ampia facoltà di documentare e comparare risultati e rendimento degli allievi, con espliciti impegni di formazione e ricerca. Insomma, ci potrebbe essere una nuova stagione della pluralità docente come scelta consapevole, dopo “la pluralità” docente vissuta (per troppi anni) come routine;
c) operare in una ottica di organico di istituto (se vogliamo, di comunità professionale), ove mettere a frutto tutte le risorse disponibili: insegnanti di base, specialisti, docenti di sostegno, figure intermedie. La capacità della scuola di gestirsi come una unità organizzativa pensante farà la differenza. Molto si chiede a dirigenti scolastici “capitani coraggiosi”: di non subire il grigiore di norme impersonali, ma di interpretare una funzione di guida autorevole della propria comunità, soprattutto nei momenti più difficili;
d) lavorare a fondo sui nuovi curricoli (la conferma triennale delle Indicazioni del 2007 per la scuola di base, appare come il dato più confortante dell’attuale situazione), come materiali utili a non tradire la storia di questi anni (ricordiamoci di concetti quali ambiente di apprendimento, alfabetizzazione culturale, didattica laboratoriale, cura educativa, ecc.), anzi come stimolo a re-investire sul valore formativo delle discipline e sul rinnovamento delle relative didattiche.

Nei momenti difficili, occorre fare di necessità virtù. Utilizzando gli spazi previsti dal Regolamento sull’autonomia organizzativa e didattica. Tenendo fermo il quadro delle risorse assegnate (nell’attesa di tempi migliori) è possibile una ricerca costruttiva sul modello organizzativo più vicino alle esigenze dei ragazzi di oggi, capace di migliorare la loro preparazione e di rispondere alle aspettative dei docenti per un buon lavoro.
Lavorare bene oggi nel micro (a scuola), per essere ripagati meglio domani nel macro (dalla società).
Ischia, 28 luglio 2009
 
(1)  l monte ore settimanale nella scuola primaria A.s. 2007/08
Tipologia di orario     
Quota in percentuale
27 ore 4,9
28-30 ore 49,9
31-39 ore 19,9
40 ore (tempo pieno) 25,3
 
 
 
 
 
 
(2) Luca Ricolfi, La scuola ha smesso di insegnare, in La Stampa.it, 25 luglio 2009. 
(3) Quelle dovute alla penna del prof. Bertagna erano allegate al D.Lgs 59/2004 come “assetto organizzativo, pedagogico e didattico transitorio”, quelle legate alla regia del prof. Ceruti erano contenute in un semplice DM (31-7-2007) ed del Regolamento dell’autonomia (Dpr 275/1999) che fa rivivere l’art. 205 del T.U. del 1994 sui programmi nazionali si devono introdurre attraverso una apposita procedura regolamentare, come ben specifica la legge 53 del 28-3-2003 (che all’art. 7 reca la dicitura di “nucleo essenziale dei piani di studio scolastici”).
Dunque, ci sarebbe ampia materia per giuristi, per tentare di districarsi tra il format di programmi, curricoli, o indicazioni o per dirimere la querelle sulle fonti del diritto più appropriate (Decreto legislativo, decreto ministeriale, decreto del Presidente della Repubblica) o, ancora, per richiamare i passaggi procedurali ed i necessari concerti (commissioni parlamentari, CNPI, ecc.). Di fronte a questo quadro problematico, ci sembra saggia la decisione di prorogare per un triennio, quindi a tutto l’a.s. 2011/12, la validità delle vigenti Indicazioni per il curricolo.

 
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