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La Certificazione delle Competenze

di Giancarlo Cerini da "Notizie della scuola"

Cronaca di un successo annunciato?

Da alcuni mesi si è aperto uno spazio sperimentale per affrontare un passaggio significativo della cultura della valutazione: parliamo della adozione dei nuovi modelli di certificazione delle competenze (CM 3/2015), da coordinare con le Indicazioni Nazionali vigenti per il primo ciclo (DM 254/2012).

Oltre 1.350 scuole hanno chiesto di poter adottare i nuovi modelli predisposti dal MIUR (nello specifico dal Comitato Scientifico Nazionale che sovraintende all'attuazione delle Indicazioni/2012). Parliamo di quasi il 25% delle scuole di base italiane, una adesione massiccia che va oltre la dimensione di una sperimentazione che dovrebbe riguardare piccoli numeri di scuole, a campione.

Quali sono le motivazioni di tale “successo”? Probabilmente si è registrata una sintonia tra la scuola e l'ispirazione pedagogica alla base dei nuovi strumenti, in particolare con il linguaggio “formativo” che caratterizza le linee guida che accompagnano i modelli sperimentali. Forse la scuola viveva con stanchezza il “fai da te” degli ultimi 10 anni. In alcuni casi prenderemo atto di un'adozione solo formale da parte dei collegi dei docenti, senza rimettere più di tanto in discussione pratiche didattiche consolidate. Ma in altri registreremo la speranza di riaprire discorsi non facili sulla valutazione (come ad esempio abolire il voto in decimi dalla scuola primaria/di base). Forse un insieme di tutti questi fattori…

La “via italiana” alla certificazione

La vicenda, dunque, ha via via assunto un valore simbolico… qualcosa che va oltre lo stesso oggetto della certificazione. In senso proprio certificare implica che un soggetto “terzo” che ne ha titolo (non chi quotidianamente fa il tifo per i propri allievi, come sono i docenti della classe) attesti erga omnes (con una rilevanza giuridica e pubblica) il possesso di determinate competenze (saperi e saper fare) sulla base di standard comuni, previamente identificati e resi espliciti

Molte certificazioni oggi in uso (quadro europeo delle lingue; certificazioni informatiche, ecc.) hanno questa caratterizzazione e rispondono a questi requisiti. Invece, nel nostro ordinamento, la normativa (quella sull'autonomia scolastica- Dpr 275/1999 - e le norme generali sull'istruzione – legge 53/2003) ha conferito un significato diverso al concetto di certificazione, affidandone il rilascio agli insegnanti e alla scuola, previa adozione di criteri nazionali e modelli uniformi.

Nel 2008 (con la legge n. 169) l’obbligo di rilascio della certificazione è stato esteso alle scuole del primo ciclo (al termine della scuola primaria e al termine della scuola secondaria di I grado) con la previsione di un modello nazionale fino ad ora non formalizzato. Per la scuola media c’è il vincolo (Regolamento per la valutazione degli alunni - Dpr 122/2010) dell’utilizzo del voto in decimi nelle attestazioni dei livelli di competenza.

Per andare oltre questi vincoli si è resa necessaria l'adozione di una procedura sperimentale (sancita appunto con la CM 3/2015) che “autorizza” lo scostamento dall’ordinamento vigente, ad esempio andando oltre l'uso del voto numerico sugli attestati.

È assai probabile che, per dare coerenza all'intera materia, si rendano necessarie modifiche ordinamentali in profondità, sia di natura regolamentare (cfr. Dpr 122/2010) ma anche legislativa. Va sottolineato che nel disegno di legge sulla “buona scuola” (giugno 2015) una delle deleghe previste riguarda proprio la ridefinizione di norme in materia di valutazione e di certificazione (ispirate ad una funzione formativa e orientativa). Questo passaggio sembra aprire nuovi spazi di ricerca ed offre una sponda alta alla attuale “sperimentazione” delle 1.350 scuole, che si presentano come un cantiere aperto per sondare l’efficacia ed il consenso sulle innovazioni proposte.

Questione giuridica o questione pedagogica?

È necessario mettere ordine in un campo assai accidentato, in cui abbiamo ormai una molteplicità di modelli di certificazione, diversamente strutturati. Infatti le certificazioni le ritroviamo: in 5^ elementare, in 3^ media, al termine dell'obbligo di istruzione (16 anni), incorporate nel diploma di maturità (come allegato integrativo), specifiche per gli allievi disabili, all'interno dei percorsi EDA (educazione degli adulti), in svariate forme nella formazione professionale e nei percorsi integrati scuola-formazione-apprendistato.[1]

Di fronte a questa sventagliata di situazioni è legittimo porsi l’interrogativo sulla “consistenza” docimologica della attestazione delle competenze, anche avendo riguardo al diverso impatto e significato della certificazione distintamente nell’ambito della scuola dell’obbligo e nei percorsi post-obbligatori. Si confrontano due ipotesi: una prima, che enfatizza il suo valore formativo (di descrizione di competenze in fase di acquisizione) e una seconda, più preoccupata del valore certificativo (attestazione di esiti raggiunti, con un codice univoco, confrontabile e socialmente apprezzabile).

Le Indicazioni/2012, nel paragrafo sulla “certificazione”, sembrano sposare la tesi del valore formativo della certificazione; infatti la certificazione “descrive” la progressione delle competenze, anche se poi le “attesta” (e questa seconda puntualizzazione richiama l’esigenza di una “misura”); ma la finalità precipua è quella di “sostenere” e “orientare” gli studenti. La certificazione rende evidenti le competenze attese ed ogni studente viene invitato a “posizionarsi” lungo questo percorso. La competenza non è una performance isolabile, ma un insieme di risorse cognitive, personali, riflessive, emozionali che consente ad un soggetto di affrontare con sicurezza nuove situazioni-problema.

Ci sono sicuri indizi che la CM 3/2015 rafforzi la prospettiva formativa: il fatto che si introduca la certificazione anche al termine della scuola primaria, che essa sia sganciata dall’esito dell’esame di stato di terza media (e rappresenti piuttosto la sintesi descrittiva dell’intero percorso dell’allievo), che non sia previsto un apprezzamento negativo (non è consentita la dicitura “competenza non raggiunta”, come ad esempio nella certificazione da rilasciare al termine dell’obbligo di istruzione), che si leghi a competenze trasversali che vanno oltre la mera acquisizione di conoscenze disciplinari, che le linee guida siano una sorta di poemetto pedagogico che mette in primo piano la qualità dei processi di insegnamento-apprendimento.

Il nuovo modello: pregi e difetti

Vediamo ora le principali caratteristiche[2] dello strumento sottoposto alla prova delle scuole:

  • c’è un riferimento diretto alle Indicazioni/2012, alla sua cultura, all’idea di un curricolo orientato alle competenze, i cui elementi prescrittivi sono il profilo in uscita e i traguardi di competenza delle discipline;
  • le competenze individuate e da certificare sono desunte direttamente dal profilo di uscita del 14enne (rappresentano la finalità generale della scuola del primo ciclo) e questo sposta certamente l’asse culturale della scuola oltre lo stretto riferimento alle sole 10 discipline del curricolo;
  • occorre interrogarsi sullo spessore del profilo formativo del 14enne: troppo sbilanciato sulle competenze personali, sociali, in generale più sfuggenti di quelle cognitive più direttamente riferibili alle discipline…
  • c’è una certificazione intermedia per la quinta classe elementare (anche se c'erano perplessità su questa presenza, pur prevista dalla legge 169/2008); con questa ipotesi si intende regolare (mettere dei “segnali”) la progressione del percorso formativo di base, nell’ottica di un curricolo verticale;
  • si instaura un rapporto diretto tra competenze del profilo e le 8 competenze-chiave del documento europeo (queste ultime hanno una maggiore levigatezza e forse sono più esplicative, comunicative). Dal confronto possiamo cogliere le diverse sfumature e accentuazioni del profilo italiano. Meglio la versione italiana (prima colonna del modello) o quella europea (seconda colonna)? La prima sembra enucleare descrittori specifici riferibili alla seconda…
  • il riferimento alle discipline è presente nella terza colonna del modello, ove appare la dicitura “tutte le discipline alimentano le competenze trasversali….”. Ma bastano le dichiarazioni di principio sottoscritte dai compilatori del certificato? Un suggerimento si può però fornire: indicare in questo spazi quali discipline, in base ad una specifica progettazione della classe, hanno contribuito allo sviluppo di quella particolare competenza; un indizio non generico di una didattica integrata, di saperi che dialogano;
  • questo richiamo alle discipline è variamene interpretabile (c’è una certa ambiguità): qui dovrebbe emergere il legame tra competenze trasversali e traguardi di competenza proposti nelle diverse discipline; l’ancoraggio delle competenze “soft” (profilo finale) alle competenze “dure” (discipline) e la loro reciproca relazione;
  • i livelli di apprezzamento sono quattro, esprimono una progressione aperta…forse sono troppo ambiziosi? C’è però un livello iniziale che esprime attenzione pedagogica a competenze in fase di prima manifestazione… (un punto d’appoggio per promuovere un atteggiamento positivo dell’allievo verso l’apprendimento, per rinforzare la sua autostima, il suo desiderio di riuscita);
  • il vettore che spiega la progressione dei livelli è relativo alla padronanza e al ri-uso di conoscenze e abilità, alla consapevolezza del proprio agire. Il criterio che segnala la progressione si riferisce a: novità delle situazioni da affrontare, complessità delle soluzioni, autonomia nelle procedure cognitive e nei comportamenti relazionali;
  • i livelli non sono rappresentabili dai voti, che tendono a cristallizzare le situazioni e che richiamano operazioni aritmetiche di medie;
  • c’è un indicatore aperto (ne servirebbero due?) che può mettere in risalto particolari talenti o aspetti non considerati dalla griglia ufficiale: un riconoscimento all’idea di un percorso personalizzato e che esprime la filosofia di una certificazione che ha un carattere orientativo, di sostegno e di incoraggiamento verso l’apprendimento, di motivazione (siamo nella scuola di base);
  • il giudizio orientativo… è una prassi consolidata, ma è una questione da rivedere. I dati che emergono dal RAV sono interessanti (testimoniano di un miglior successo formativo per gli allievi che hanno seguito il giudizio orientativo); occorre però reinterpretare a fondo l’idea di orientamento, come sostegno permanente al rafforzamento della capacità di auto-orientarsi (didattica orientativa) e non di “essere orientati”.

I nodi da sciogliere

Siamo in presenza di nodi concettuali di non poco conto, che richiamano molte questioni, tra le quali:

  • il rapporto tra valutazione e certificazione: i due concetti sono sovrapponibili? Quali le differenze e le analogie? perché c’è bisogno di certificare le competenze oltre che di valutarle?;
  • quale idea di competenza adottiamo, se immaginiamo di poterla “certificare”? se individuiamo un quadro ampio di dimensioni (padronanza di saperi, di abilità e saper fare, di atteggiamenti e motivazioni, di consapevolezza-meta, di creatività e resilienza, ecc.) saremo poi in grado di tenerlo “sotto controllo”?
  • come ci attrezziamo a raccogliere evidenze sulla presenza di competenze “qualitative”: basterà una qualche prova ben strutturata a dimostrare una competenza? Sarà necessario ricostruire un dossier di evidenze raccolte in momenti diversi? e con quali strumenti? Sono praticabili dalla scuola?
  • un approccio pervasivo alle competenze (che chiede di apprezzare apprendimenti non solo scolastici, ma informali e non formali) ci potrebbe portare troppo lontano da ciò che concretamente succede in aula? Come tenere insieme queste diverse impostazioni?

Queste e altre domande simili ci ricordano che non possiamo adottare uno strumento di certificazione a cuor leggero, come se fosse solo il “cambio” di un format di attestato (un po’ è questo, ma c’è molto altro). Realizzare questo valore aggiunto (che significa retro-azione sulle pratiche valutative, didattiche e progettuali) richiede molto tempo, che va al di là del breve spazio di pochi mesi sullo scorcio di un anno scolastico. In molte scuole c’era una storia pregressa di ricerca sulle competenze (sulla valutazione formativa, sul curricolo verticale), magari stimolato dall'adozione delle Indicazioni/2012, ma questa non è una situazione generalizzabile...

Ecco perché la CM 3/2015 prefigura un itinerario più lungo e non la semplice applicazione di un decreto ministeriale definitivo (che non esiste). L’ipotesi è che il prossimo anno 2015-16, una volta ricevute le osservazioni delle scuole, lo strumento sia progressivamente “affinato” e sottoposto ad un ulteriore momento di “prova sul campo” attraverso la generalizzazione (cioè una ulteriore estensione), puntando soprattutto sulla rete delle scuole sperimentali.

Valutare la valutazione

Sul nuovo modello del documento viene richiesto un giudizio di merito attraverso un questionario strutturato reperibile on line e dedicato esclusivamente alle scuole sperimentatrici (cfr. Nota Miur 5039 dell'8-6-2015). Ci sarà poi un approfondimento con un gruppo limitato di scuole attraverso focus group. Le risposte delle scuole saranno discusse in un forum qualificato di esperti. Inoltre si svolgeranno seminari nazionali in cui scuole sperimentali avranno la possibilità di confrontarsi sul lavoro fatto. È in programma un'ampia azione progettuale finanziabile attraverso il FSE-PON, per aiutare un numero significativo di scuole in rete a  sviluppare la ricerca-azione nel prossimo anno scolastico.

La certificazione è un atto finale, che dovrebbe giungere al termine di un lavoro coerente sviluppato nel corso almeno di un anno intero. Infatti attraverso una programmazione “a ritroso” diventa pensabile reimpostare a fondo il curricolo della scuola, in un'ottica verticale. Quando attestiamo un livello di competenza (trasversale) dovremmo sempre chiederci quale sia la base (disciplinare) d’appoggio. Gli indicatori trasversali dovrebbero essere collegati in modo più esplicito con i “traguardi di sviluppo delle competenze”, individuati all'interno delle Indicazioni (per ogni disciplina). Qualcuno vorrebbe inserire questo richiamo ai “saperi” disciplinari (intesi come abilità conoscenze, competenze) direttamente sulla scheda della certificazione, in guisa di descrittori di ogni profilo di competenza. Altri ritengono che sia sufficiente fare riferimento al curricolo della scuola, che dovrebbe descrivere e rendere esplicito il rapporto tra il profilo formativo in uscita, i traguardi di sviluppo in progressione, gli obiettivi di apprendimento prescelti, le possibili attività didattiche, le rubriche per l’osservazione delle competenze.

La ricerca sugli strumenti di rilevazione

Tra le attività di ricerca che potrebbero utilmente essere sviluppate nei prossimi mesi nelle reti di scuole un posto di rilievo dovrebbero avere quelle relative alla rilevazione delle competenze (nel senso più ampio del termine).

Intanto si tratta di elaborare strumenti di osservazione, documentazione, misurazione e valutazione delle competenze. Occorre una pluralità di strumenti. Almeno:

  • prove strutturate, semistrutturate, aperte, situazioni-problema, compiti di realtà, produzioni degli allievi (ci inoltriamo nel campo della valutazione autentica). Una sorta di portfolio dei “capolavori” degli allievi;
  • strumenti di osservazione dei processi messi in atto dagli allievi, atteggiamenti sociali, spirito di iniziativa, livelli di collaborazione, capacità di assumere decisioni, di trascinare gli altri, atteggiamenti pro-sociali.
  • strumenti per verificare la capacità di riflessione, di autovalutazione, di ricostruzione delle esperienze, di leggere i contesti, di collegare i nuovi apprendimenti alle esperienze pregresse, consapevolezza delle proprie risorse e dei propri limiti…

La ricerca sulla progettazione didattica

Il nuovo sistema di certificazione suggerisce una retroazione sulle pratiche didattiche: quali scelte didattiche e metodologiche possono favorire la promozione delle competenze? Certamente ci riferiamo a didattiche operative, partecipate, laboratoriali. Ma allora, in un crescendo: quali ambienti di apprendimento allestire, quali risorse utilizzare, quale utilizzo del tempo, quali forme di gestione della classe, come promuovere incoraggiamento e clima sociale favorevole?

E quali architetture curricolari sono coerenti con la promozione delle competenze? Quali i percorsi disciplinari più appropriati, come favorire il dialogo tra le discipline e i saperi, quale intreccio con il profilo di uscita, come contrappuntare il curricolo verticale in termini di progressione delle esperienze? È in gioco un passaggio non semplice dalle programmazioni lineari per obiettivi a situazioni-problema, a canovacci, scenari…

La certificazione delle competenze può diventare l’occasione per stimolare nuove pratiche educative, coerenti con l’idea di un apprendimento che viene costruito dagli allievi, con conoscenze durevoli che consolidano atteggiamenti e tratti della personalità, con l’integrazione tra aspetti cognitivi, motivazionali, sociali in vista della formazione di persone sempre più autonome e responsabili.

Si tratta di un obiettivo ambizioso, che non può essere bruciato in pochi mesi, ma che ci potrà accompagnare nei prossimi anni, in un lavoro di ripensamento del nostro progetto educativo e delle nostre pratiche.

 


[1] Un'analisi delle diverse modalità di certificazione è contenuta nella voce di G.Cerini, Certificazione, in “Repertorio” (a cura di S.Auriemma), Tecnodid, Napoli, 2015.

[2] Un'ampia ricognizione sugli aspetti più significativi dei nuovi modelli è contenuta nel fascicolo monografico di “Notizie della Scuola”, n. 11, 1-15 febbraio 2015 (con interventi di G.Cerini, M.Spinosi, M.Castoldi, F.Da Re).

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