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Le ‘Nuove’ Indicazioni per il Primo Ciclo


di Giancarlo Cerini

 

Convitati di pietra

C’è una motivazione giuridica che ha spinto a riscrivere le Indicazioni per il primo ciclo: quelle approvate nel 2007 dal Ministro Fioroni avevano una validità di due anni, poi prorogata di ulteriori tre anni scolastici per consentirne un’attuazione graduale, transitoria e sperimentale. Questo periodo è scaduto il 31 agosto 2012, dunque era necessario dotare la scuola dal 1° settembre 2012 di Indicazioni ‘stabili’. Di qui è scaturita la revisione delle Indicazioni, il cui testo definitivo è stato firmato dal Ministro il 16 novembre 2012[1]. È però evidente che non basta disporre di programmi ‘ufficiali’ aggiornati per migliorare ciò che si fa in classe. Le Indicazioni sono certamente una fonte che ispira il lavoro a scuola, ma intorno al curricolo ‘reale’ si affacciano molti Convitati di pietra che condizionano le scelte quotidiane dei docenti, nel bene e nel male.

Pensiamo ai libri di testo: i manuali scolastici hanno un ruolo ‘pesante’ nella definizione del curricolo di una scuola. Pensiamo alle richieste e alle pressioni dei genitori, a volte pertinenti, altre volte improprie. Poi c’è la nostra storia, ci sono le cose che sappiamo fare meglio, i tratti personali ed emotivi (le nostre virtù, ma anche le nostre pigrizie). Infine, negli ultimi anni sono apparsi sulla scena sistemi di valutazione molto intrusivi, con novità non sempre condivise o ben comprese (i test generalizzati dell’Invalsi, il ritorno del voto in decimi, le modalità d’esame, la certificazione delle competenze). Queste azioni hanno lasciato un segno nei comportamenti degli insegnanti e influiscono sul curricolo reale, quasi a prescindere dall’esistenza di un progetto culturale nazionale per la scuola del nostro Paese. Questo progetto si è via via annebbiato, ha perso in visibilità e consistenza, travolto dalle conflittualità di questi ultimi vent’anni (quante volte sono stati cambiati programmi e ordinamenti?) e da un malinteso senso dell’autonomia, quasi una scuola ‘fai da te’.

Senza rincorrere stagioni d’oro che non ci saranno più, va però riconosciuta l’esigenza di dotare la scuola pubblica del nostro paese di alcuni punti di riferimento, in grado di riconfermare la vocazione inclusiva, democratica, costituzionale del nostro sistema educativo, orientando le scelte professionali degli insegnanti: indicazioni da interpretare, pur con alcuni elementi prescrittivi, e non programmi da eseguire. Ma come arrivare a un progetto condiviso?

Prove di dialogo

L’elaborazione di Indicazioni nazionali impegna certamente la responsabilità delle istituzioni (in primo luogo del Governo e del Ministro dell’istruzione pro-tempore), ma deve scaturire da un dialogo sociale intenso, dal confronto continuo sull’idea di scuola, dalla costruzione di proposte culturali e didattiche credibili e autorevoli, validate dalla comunità scientifica e in sintonia con le domande della scuola. Non è un metodo facile. Spesso i Ministri scelgono il loro ‘guru’ di riferimento e poi a cascata si costruiscono commissioni, documenti, testi. È apprezzabile che in questo caso non sia stato nominato un ‘super-presidente’ di commissioni ‘blindate’ di esperti, ma si sia proceduto quasi sotto-traccia, con un lavoro redazionale intenso, con la collaborazione di esperti di didattica disciplinare, con consultazioni frequenti (focus, incontri, sondaggi telematici, rapporti con associazioni, ecc.).

Questo lavoro è stato contrappuntato da due momenti di interazione diffusa con le scuole:

  • il primo si è svolto nel novembre-dicembre 2011, in forma di monitoraggio telematico, con domande allo stato di salute del curricolo di base. Questa fase di ascolto ha messo in evidenza i disagi veri del fare scuola oggi: la scomparsa della compresenza, le classi numerose, la ferita aperta dell’anticipo, una pluralità docente ormai fuori controllo. È emersa una scuola reale che attraversa difficoltà, criticità, delusioni, di cui tenere conto e che si è riconosciuta maggiormente nel progetto del 2007 (Ceruti-Fioroni) piuttosto che in quello del 2004 (Bertagna-Moratti). E questo dato ha avuto il suo peso nel processo di revisione;
  • c’è stato poi un secondo momento importante: il 30 maggio 2012 la prima bozza delle Indicazioni revisionate è stata inviata a tutte le scuole, dalle quali sono ritornati oltre 5.000 questionari interamente compilati (erano previste 26 domande strutturate) e alcune migliaia di osservazioni libere, seppur stringate, quasi dei tweet rivolti dalla base al ‘quartier generale’. È stato un utile contributo per ‘limare’ ulteriormente la versione finale del testo.

Tenere aperto il cantiere

Pur in tempi ristretti si è così realizzata un’utile forma di dialogo e sarà importante non lasciar cadere questo metodo aperto, sia per la ‘gestione’ della fase di accompagnamento, sia per il completamento di altri aspetti dell’innovazione (ad esempio, i modelli nazionali di certificazione). Nel decreto che accompagna il nuovo testo è prevista la costituzione di un ‘board’ permanente per la supervisione scientifica delle Indicazioni e per favorire il dialogo tra scuole, esperti, sistema di valutazione.

Le Indicazioni 2012, in realtà, si pongono in forte continuità rispetto al testo precedente (2007). È probabile che in seguito occorra fare delle scelte più innovative e radicali (pensiamo alla soluzione adottata per l’insegnamento della storia), e il decreto che approva le Indicazioni offre la possibilità di far evolvere il testo, attraverso un confronto continuo. Non avremo più, come un tempo, programmi che coincidevano con lunghe stagioni temporali e ideali (i programmi dell’attivismo, del personalismo, del pragmatismo, del positivismo…). Quei programmi didattici avevano la durata di una generazione e riflettevano vere e proprie epoche culturali. Oggi abbiamo bisogno di strumenti di orientamento che siano in grado di accompagnare e di interagire, forse di contribuire all’evoluzione della società, del dibattito culturale, con un pluralismo di idee in sintonia con la complessità della nostra epoca.

Un pre-testo per ri-dirci i compiti educativi della scuola

La scadenza delle nuove Indicazioni può diventare un’occasione per ri-chiarirci e condividere i compiti educativi e formativi della nostra scuola, e provare a essere più coerenti nelle pratiche didattiche rispetto a ciò che si trova scritto nei documenti ufficiali. Nei programmi, in genere, non mancano le belle parole, i concetti levigati; ma cosa succede poi in classe?

Un solo esempio: nel monitoraggio-sondaggio del novembre 2011, alla domanda “qual è la pratica didattica più diffusa nella tua scuola?” il 76% degli insegnanti della scuola media, ma anche il 72% della scuola elementare ha risposto “Lezione frontale”. C’è di che riflettere[2]!

Forse ci sono motivazioni rinvenibili nella scarsità di insegnanti, nella mancanza della compresenza, nel tempo scuola più ridotto, ma è decisivo l’atteggiamento culturale: che cosa significa insegnare? fare lezione? promuovere apprendimento? Resiste l’antica separazione tra insegnamento e apprendimento, stentano a passare le idee di ambiente di apprendimento, di relazione educativa, di valore formativo delle discipline, di motivazione e coinvolgimento degli allievi. Tutti temi di cui c’è traccia nelle Indicazioni (vecchie e nuove), ma che non riescono a diventare scuola quotidiana. La speranza è che il nuovo testo possa essere occasione per far crescere nelle comunità professionali la riflessione sulle pratiche didattiche e sulla loro coerenza pedagogica. Il metodo evolutivo adottato può aiutare la scuola a ritrovare un suo baricentro.

Nel testo del 2004 si era evidenziata una forzatura ‘barocca’. Terminologie e sigle (Osa, UdA, Pecup, Psp…) tentavano di forgiare un nuovo linguaggio, quasi imponendo con la forza della legge una didattica di stato. Invece, nel testo delle Indicazioni 2007 si è percepita una migliore sintonia con la vita della scuola e con fonti ispiratrici condivise (Dewey, Bruner, Vigotsky, Morin, Gardner, ecc.).

È stato giusto reinnestarsi in quell’alveo, ripartire da quel testo-base, che già poneva alcune domande forti circa il senso dell’educazione… questioni contenute nella premessa di Mauro Ceruti, recuperata e ampliata nel nuovo testo, in cui la domanda è proprio: Qual è il significato dell’educazione e della cultura oggi? E i saperi come dialogano con la vita dei ragazzi? Quali sono le sfide che li attendono?

Confrontarsi con le nuove domande

Non bastava però ‘fotocopiare’ il testo del 2007. Ci sono nuove questioni che emergono nella nostra società e nella scuola. È stato giusto ri-partire da alcuni interrogativi.

  • Innanzitutto tutto c’è un’inedita questione interculturale in Italia. Le nostre classi sono sempre più ‘colorate’, e di questo si è cercato di tener conto: nel testo l’italiano è lingua di scolarizzazione, ma è una seconda lingua per molti alunni (già il 15% in alcune regioni). Nelle Indicazioni 2012 si respira un clima plurale, che si innesta nel bel documento del MIUR (La via italiana all’educazione interculturale, 2007) e nei più recenti orientamenti europei (Insegnare e apprendere in un ambiente plurilingue, 2010). L’intercultura non riguarda la presenza di stranieri in classe, ma un più generale atteggiamento verso il mondo e la realtà in cui vivranno i nostri giovani.
  • Un secondo ‘fenomeno’ è la presenza pervasiva delle nuove tecnologie digitali, di nuove forme di comunicazione (i social network), dei linguaggi multimediali. Sono abitudini e comportamenti che toccano non solo gli adolescenti, ma anche i bambini, e la cui evoluzione è molto rapida: dopo i digitali nativi arriva la screen generation. La scuola appare incerta, tra la tentazione di inseguire queste nuove forme del sapere o arroccarsi nella cittadella degli alfabeti. Il testo sceglie una linea di cauta apertura, ma sta dalla parte dei vecchi alfabeti: solo una sicura padronanza di strumenti personali di lettura, comprensione, analisi consentirà di non essere travolti dall’estasi della comunicazione, dal caleidoscopio della multimedialità. Non è solo un problema di utilizzo ragionevole delle nuove tecnologie (di cui pure è cosparso il testo, disciplina per disciplina), ma di consapevolezza delle nuove regole di produzione, trasmissione e conservazione di conoscenza e degli inevitabili risvolti sui processi cognitivi ed emozionali[3].
  • Un ulteriore elemento di novità emerso dal 2007 a oggi è la generalizzazione degli istituti comprensivi, che già quest’anno sono circa 5.000; restano solo 1.500 tra circoli didattici e scuole medie. Il panorama della scuola italiana sta cambiando. Gli istituti comprensivi possono essere vissuti come un escamotage finanziario, uno scatolone vuoto, ma nel testo delle Indicazioni 2012 emerge l’idea di un progetto educativo forte e coerente: segnala che dai tre ai quattordici anni c’è una responsabilità da condividere nella formazione dei ragazzi. Lo si legge nel Profilo delle competenze del quattordicenne, che non è posto solo a carico degli insegnanti di terza media, ma è il frutto di un percorso di accompagnamento, di condivisione, di responsabilità che riguarda tutti gli insegnanti, che si occupano degli allievi dai 3 ai 14 anni. Lo si legge nell’articolazione dei curricoli disciplinari, tutti ispirati alla logica della verticalità (che pure è interpretata diversamente dalle varie discipline, in termini di linearità o ricorsività o ciclicità), come filo conduttore visibile per la costruzione del curricolo verticale dell’istituto comprensivo.

Le conferme, le puntualizzazioni

Ma proseguiamo nel nostro check-up alle Indicazioni 2012.

  • Si conferma il tema delle competenze, come leit-motiv del percorso formativo di base, che si intreccia con quanto previsto nei documenti europei (Competenze chiave di cittadinanza, 2006) e con la piattaforma culturale per l’estensione dell’obbligo di istruzione a 16 anni (una riforma recente quasi dimenticata): le competenze culturali si innestano nei saperi delle discipline, ne costituiscono il lievito formativo e implicano nuove scelte metodologiche e didattiche, ispirate all’idea del laboratorio, dell’elaborazione dell’esperienza, dell’apprendistato cognitivo, in un ambiente ricco di relazioni sociali ed emotive[4].
  • I traguardi del percorso dai 3 ai 14 anni vengono rubricati sotto la voce “Traguardi per lo sviluppo delle competenze”, una dicitura lontana dal concetto di standard o di ‘risultati finali’ o di ‘competenze di uscita’. Il senso è diverso. Il traguardo richiama certamente l’esigenza di descrivere in maniera precisa gli apprendimenti attesi, ma la parola ‘sviluppo’, di chiara matrice vygostkjana, apre alla pluralità di percorsi, al dinamismo del potenziale di apprendimento, alla diversità di ritmi e intelligenze dei ragazzi.
  • La scuola di base conferma la sua vocazione all’accoglienza e all’accompagna­mento e anche le modalità valutative non possono smentire questa prospettiva. La valutazione è formativa perché non ha l’obiettivo prioritario di giudicare, classificare, sanzionare, ma piuttosto di descrivere, conoscere, stimolare il miglioramento continuo. Sarà una valutazione ‘sincera’ (“a che punto ti collochi nel percorso verso le competenze attese?”), ma nell’ambito di una relazione di aiuto e di incoraggiamento che non deve venir meno.
  • Vengono legittimate le prove Invalsi, che dovranno ispirarsi ai traguardi di competenza (che sono prescrittivi per gli insegnanti). Ma il testo rimette le cose nell’ordine giusto: prima vengono il progetto culturale della scuola, il curricolo e l’organizzazione didattica e poi, solo successivamente, le valutazioni ‘esterne’ con le loro strumentazioni. L’Invalsi non può condizionare e anticipare la didattica, ma deve raccogliere ed elaborare i dati relativi ad alcune prestazioni e abilità, per fornire alla scuola informazioni utili alla progettazione didattica.
  • C’è un importante messaggio nelle Indicazioni, una frase aggiunta dopo la consultazione dell’estate 2012. Si afferma che bisogna promuovere una cultura della valutazione “che scoraggi qualunque forma di addestramento finalizzata all’esclusivo superamento delle prove”. I dati statistici ci servono, ma ancora più importante è usare la valutazione per fare ricerca sull’apprendimento e non per rimpicciolirlo.
  • Il termine competenze, come afferma Boscolo, rimanda a un’idea di apprendimento non inerte, di qualcosa che vale per i ragazzi anche dopo il suono della campanella, perché li accompagna oltre i portoni della scuola. La competenza è un abito mentale, un metodo di studio, una disponibilità permanente alla ricerca, necessari per affrontare nuovi compiti, nuove sfide, nuove situazioni nel corso della vita. C’è un termine nelle Indicazioni per la scuola d’infanzia che parla di avventura della conoscenza: ecco, si vorrebbe che la scuola fosse un’esperienza che fa crescere, che organizza e struttura il modo di pensare, che rende progressivamente autonomi.

Per essere coerenti con queste prospettive occorre affinare metodi e pratiche didattiche. Il fare lezione si trasforma nell’organizzazione di efficaci ambienti di apprendimento, che dovranno essere alimentati dalle pratiche di ricerca e di laboratorio ‘adulto’ promosse dalle scuole e dagli insegnanti (oltre che adeguate misure di accompagnamento attivate dal MIUR e dall’Amministrazione scolastica).

Un messaggio forte

Emerge nel nuovo testo delle Indicazioni una domanda pressante per una sicura padronanza delle competenze di base per i nostri ragazzi, da rilevare al termine del percorso ma da curare, giorno dopo giorno, lungo tutto l’itinerario, con meno approssimazione di quanto a volte oggi accade. Si sottolinea il valore delle strumentalità, della padronanza del gesto grafico della scrittura, della correttezza ortografica, come elementi di controllo dell’organizzazione del pensiero. Tra gli obiettivi della scuola primaria fa la sua ricomparsa il dettato, si raccomanda di “scrivere sotto dettatura rispettando la correttezza ortografica”. Estrapolando questa sola frase vien da chiedersi se non si stia ritornando agli anni Cinquanta, col dettato come pratica formale, indice di un formalismo di facciata e inutile.

Invece, la sfida è quella di coniugare la padronanza di strumentalità elementari con il senso dell’esperienza conoscitiva, che nel campo dell’educazione linguistica significa mantenere ben saldo il valore della lingua come strumento per comunicare, pensare, immaginare, capire. Con la consapevolezza che arricchire e rendere sicura la padronanza della lingua (le sue forme, il suo lessico, la sua sintassi) è un prioritario investimento contro lo svantaggio sociale e la disuguaglianza, come ricordava Don Milani.

Non è un compito facile. Ma la lettura del testo può aiutare, ad esempio partendo proprio dalle pagine di Lingua Italiana, disciplina trasversale per eccellenza (e di pertinenza di tutti i docenti), nelle quali si coglie bene un sofferente sforzo di tenere insieme una visione meno approssimativa della scuola di base (quella che a volte si limita a socializzare e a far star bene i bambini), con l’esigenza di assicurare la padronanza del leggere e dello scrivere (in senso lato), ma in un orizzonte capace di dar valore all’intera esperienza formativa[5].

Dunque vorrei proporre di leggere le Indicazioni come un testo amichevole, che ci stuzzica e incuriosisce, che forse ci può anche appassionare, con cui confrontarsi comunque, per ricostruire il senso vero di una comunità professionale intelligente.

 


 (*) L’autore ha fatto parte del nucleo redazionale che ha avuto il compito di procedere alla revisione delle Indicazioni per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo.

[1] Testo e commenti sono riportati in S. Loiero, M. Spinosi, Fare scuola con le Indicazioni, Giunti-Tecnodid, Firenze-Napoli, 2012.

[2] Un esempio del sentire comune sugli insegnanti nei confronti dell’arte dell’insegnare è ben rappresentato nel volume di P. Mastrocola, Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare, Guanda, Milano, 2011.

[3] R. Simone, Presi nella rete. La mente ai tempi del Web, Garzanti, Milano, 2012.

[4] Un’elaborazione convincente sul tema delle competenze è presentata da Lucio Guasti in Didattica per competenze, Erickson, Trento, 2012.

[5] Un commento analitico sul ‘senso’ delle nuove Indicazioni per la lingua italiana è rinvenibile in: D. Bertocchi, Italiano: pane e grammatica, in “Rivista dell’istruzione”, n. 5, ottobre-novembre 2012, Maggioli, Rimini.

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