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La scuola e il gap tecnologico generazionale

di Anna Maria Proietti

Oggi si parla di lezioni interattive, strumenti multimediali e materiali sempre più a misura di studenti “nativi digitali”. La scuola italiana, negli ultimi cinque anni, sta cercando di modernizzare programmi e didattica all’insegna delle nuove tecnologie: uno sforzo non adeguatamente supportato da risorse finanziarie dedicate che non è ancora riuscito a diffondersi in maniera capillare. Un recente studio OCSE sul piano nazionale per la scuola digitale sottolinea il ritardo dell’Italia per quanto riguarda le dotazioni multimediali e l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione: “un piano ben strutturato" ma "con pesanti vincoli di bilancio”, lanciato nel 2007 e ancora non entrato a pieno regime. Questa la fotografia in chiaroscuro dove le ombre prevalgono sulle luci e il gap didattico/tecnologico dell’Italia rispetto agli altri Paesi OCSE appare in tutta la sua evidenza.

La tecnologia, da sola, non basta a modificare il sistema di apprendimento e le performance scolastiche degli studenti. Ne è convinto Pier Cesare Rivoltella, professore ordinario di Didattica e tecnologie dell’istruzione presso l’università Cattolica di Milano: “Le tecnologie digitali non servono a modificare deterministicamente gli apprendimenti degli studenti: se inserite nella scuola con un corretto processo servono a destabilizzare le vecchie pratiche didattiche favorendo l’innovazione e la riduzione del gap di cultura tra scuola e sistema sociale; in questo modo, una scuola più vicina al mondo degli studenti e una didattica più efficace e aggiornata finiscono per creare le migliori condizioni anche per gli apprendimenti maggiormente significativi”. Con la diffusione di concezioni divergenti del rapporto studenti/tecnologie e docenti/tecnologie, c’è da chiedersi sia qual è la concezione che abbiamo degli studenti rispetto alle tecnologie sia qual è il rapporto che i docenti hanno con le nuove tecnologie. Recentemente il dibattito si è spostato sulla possibilità di identificazione dei più giovani nei nativi digitali e degli insegnanti negli immigranti digitali (Prensky 2001). Secondo i sostenitori di questa impostazione è il diverso contesto di vita dei “nativi” che influisce sulle modalità di esplorazione e concettualizzazione del mondo. Appare, pertanto, ipotizzabile che il rinnovamento della scuola possa avvenire applicando nel contesto di formazione/educazione formale le medesime modalità di appropriazione delle competenze digitali informali registrate nei nativi digitali (Ferri 2011). In altre parole, seguendo questo filone di pensiero, anche gli insegnanti dovrebbero basare la propria didattica sul gioco, la simulazione e l’esplorazione del mondo mediante le nuove tecnologie, promuovendo forme di espressione, comunicazione e negoziazione in rete (Jenkins 2010). L’elemento critico di questo impianto di pensiero sembra coincidere proprio con il suo punto di forza e cioè proprio con la contrapposizione tra nativi digitali (studenti) e immigranti digitali (gli insegnanti). In modo particolare è soprattutto l’idea che gli studenti manifestino competenze di “pensiero in multitasking”, cioè elaborando più compiti contemporaneamente.

Tra i docenti, si registra, infatti, una disomogenea distribuzione delle competenze, che riguarda sia gli aspetti tecnologici sia gli aspetti didattici. Ai docenti del resto non è stata sempre fornita una formazione di base che contempli anche il sapersi aggiornare autonomamente, dopo avere compreso le logiche di funzionamento base delle macchine. Inoltre, a mio avviso, non sempre è stata efficace la formazione volta a far acquisire competenze didattiche tali da sapersi muovere in autonomia di fronte al problema di come interpretare l’integrazione dei nuovi strumenti nell’attività d’aula (competenza che va oltre la mera alfabetizzazione). A fronte di questo, però, va rilevato che i nuovi media sono strumenti che, con una velocità impossibile da prevedere decenni fa, stanno bussando incessantemente alla porta delle nostre aule, se non altro perché ormai “appartengono a questo mondo”; inoltre i ragazzi ne vengono facilmente in possesso e tendono a portarli comunque in aula (la “lotta” contro i cellulari in aula rischia di trasformarsi in qualcosa di più grave di un semplice episodio in ottica educativa). Tenere il ritmo dell’innovazione è impresa ardua e, al momento, sembrano farcela solo gli insegnanti tecno-entusiasti, che non sempre (peraltro) presentano competenze didattiche altrettanto qualificate. È altresì probabile che questo gap tra insegnanti in possesso di competenze diversificate comporti più un’eccessiva divisione tra gli stili di insegnamento delle varie discipline che la costruzione di un modello organico di inserimento dei nuovi media in scuola.

Può un’aula diventare uno spazio di possibilità?

Per gli studenti, la migliore esperienza in aula è uno spazio di possibilità. Nelle scuole a didattica tradizionale, il migliore esempio di uno "spazio di possibilità" potrebbe essere la palestra. La palestra è una stanza vuota dove, con l'aggiunta di una palla e alcuni bambini, una nuova storia si creerà, con gli studenti come protagonisti. I bambini amano palestra non solo perché possono arrivare a giocare e muoversi, ma anche perché sono gli attori, e producono l'intera esperienza.

Il tempo vola in una classe che è uno spazio di possibilità. Può essere difficile la transizione di una classe tradizionale ad uno spazio di possibilità. La classe tradizionale è ordinata, si muove in modo efficiente,  le regole e le aspettative sono chiaramente delineate. Nella classe tradizionale, i bambini sono invitati ad adeguare i loro stili, corpi e toni di voce alle aspettative del docente. Ma in una classe che è uno spazio di possibilità, gli studenti hanno tecniche, prodotti e processi che possono essere bersagli mobili. Gli studenti diventano la centralità  e si abituano a una nuova serie di aspettative con il privilegio di creare liberamente con i materiali.

Non è che la scuola sia organizzata per uno studente che non esiste più?

La scuola vive nel proprio passato e del proprio passato. Il “disagio” di tanti studenti che la scuola denuncia è il segnale di questa rottura; una rottura avvenuta da tempo; una rottura che ha aperto due strade diverse e sempre più divergenti. La scuola da una parte e i suoi studenti dall’altra. Sporadici, casuali, poveri i momenti di incontro. Prigionieri del quotidiano, presi dalla fatica del quotidiano, dalla necessità di dare, comunque, un senso a ciò che giorno per giorno si fa, spesso in condizione disagiate,  per dare qualcosa di dignitoso agli studenti, corriamo il rischio di perdere il senso generale di quello che facciamo e non ci accorgiamo di stare in un’isoletta alla deriva negli oceani.

La vera emergenza educativa non è rappresentata dagli studenti che stanno sempre in internet, ma dalla scuola nel suo insieme che ha perso il suo contato con la realtà, che non la sa più leggere, che non sa più quali risposte dare dato che tutte quelli su cui si basava e che rappresentavano sicurezze e routine (lezioni, esercizi, interrogazioni, compiti ..) sono saltate e non sortiscono più alcun risultato, non impattano - se non in misura limitata - su ciò che gli studenti devono imparare. Proprio la riflessione su queste pratiche permette di delineare un nuovo scenario concettuale rispetto ai processi di apprendimento e di insegnamento. Le nuove tecnologie propongono per la prima volta a livello planetario di rompere gli schemi della scuola trasmissiva di massa, mantenendone tuttavia il carattere egualitario e democratico.

In passato, infatti, l’apprendere attraverso il fare e lo scoprire (learning by doing) era riservato a pochi contesti di élite, mentre - per ragioni economiche e strutturali - la scolarizzazione di base nei paesi occidentali si è svolta secondo un modello trasmissivo ed enciclopedico. Apprendere facendo concrete esperienze, sensate riflessioni su queste pratiche e revisioni razionali delle evidenze acquisite - come dimostra la stessa logica della scoperta scientifica - offre allo studente un approccio critico e tollerante all'acquisizione delle conoscenze. Le tecnologie digitali, oggi, garantiscono l’opportunità - se sostenute da adeguate politiche di welfare dell’apprendimento (diritti di cittadinanza digitale, accesso universale, ecc.) - di estendere all’intero sistema formativo dei paesi sviluppati (dalla Scuola Primaria all’Università) questo tipo di approccio. Almeno per almeno tre ragioni:

  • le tecnologie digitali "naturalmente" inducono a un metodo interattivo e sociale nell'accostarsi alla conoscenza (Point; click and share);
  • gli alunni e gli studenti nativi digitali praticano spontaneamente fuori da scuola questo tipo di comportamenti attraverso social-network e strumenti di comunicazione istantanea cui accedono attraverso notebook, consolle per video giochi, smartphone;
  • i costi della infrastrutturazione tecnologica sono calati vertiginosamente negli ultimi dieci anni.

L’insieme di questi fattori sta producendo un concreto ed evidente cambiamento nel setting e nella stessa costituzione materiale della scuola.

Non più studenti ma “ricercatori”, non più insegnati ma “direttori di ricerca”.

Lo scenario che dunque si prospetta a livello internazionale è quello di una radicale  riorganizzazione dei metodi e delle pratiche didattiche abilitate dalle nuove tecnologie digitali. L’approccio costruttivista insieme all’apprendimento collaborativo sono tra gli aspetti più ricchi di potenzialità emersi dalla ricerca didattica. Per la didattica costruttivista, la conoscenza è un’atta di personale di costruzione del sapere da parte dell’alunno e quindi il docente diviene un tutor che offre allo studente stimolo e guida. All’interno di questo processo è fondamentale valorizzare la dimensione sociale della conoscenza, le potenzialità che può esprimere la classe come gruppo nell’imparare dagli altri e con gli altri, nella negoziazione di interpretazioni ad un livello sempre più raffinato e condiviso. In questa ottica l’apprendimento collaborativo, basandosi sul confronto, la condivisione e la rivalutazione delle esperienze reciproche, aiuta e rafforza l’azione educativa.

Insegnare è un po' come recitare, una professione ad alto rendimento energetico che richiede di agire come modello di ruolo. Ma quando gli insegnanti passano attraverso la formazione e lo sviluppo professionale, l'aspetto delle prestazioni del lavoro è raramente sottolineato o insegnato. Riconoscendo questo aspetto potrebbe essere una occasione il riorganizzare la formazione degli insegnanti consentendo loro di imparare nuove abilità e tattiche.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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