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LABORATORIO DI STORIA > gli interventi degli esperti > l'uso delle fonti

Laurana Lajolo, Gli archivi scolastici: una “miniera work in progress” per la ricerca didattica

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LA DIDATTICA LABORATORIALE

La ricerca didattica sulla base delle fonti reperibili negli archivi scolastici rimanda a proposte metodologiche pluridisciplinari e Il luogo adeguato è il laboratorio di didattica della storia. Il laboratorio è un’aula attrezzata con documenti, volumi, strumenti e sussidi multimediali, a cui va ad aggiungersi la documentazione, che via via viene prodotta dall’attività didattica del singolo istituto. Insomma un serbatoio documentario del passato, a cui porre, con le dovute procedure, le domande del presente.

Ma se nella scuola non vi è un preciso luogo fisico con specifiche attrezzature, va ricordato che il laboratorio è soprattutto una scelta metodologica, che coinvolge attivamente insegnanti e studenti in percorsi di ricerca, attraverso l’uso critico delle fonti.

La didattica laboratoriale si basa sullo scambio intersoggettivo tra studenti e docenti in una modalità paritaria di lavoro e di cooperazione, coniugando le competenze dei docenti con quelli in formazione degli studenti. E la ricerca condotta con questo metodo è un percorso didattico, che non soltanto trasmette conoscenza, ma, molto spesso, apre nuove piste di conoscenza e produce nuove fonti documentarie.

Il percorso laboratoriale non ha come fine quello di produrre una ricerca con esiti scientifici inoppugnabili, ma quello di far acquisire agli studenti conoscenze, metodologie, competenze ed abilità didatticamente misurabili. E’ praticabile solo nella scuola, ma fa uscire dalla ristrettezza e della ripetitività dell’insegnamento e dell’apprendimento tradizionali.

In tale contesto la figura dell’insegnante assume una notevole valorizzazione: dal docente trasmettitore di conoscenze consolidate all’insegnante ricercatore, che progetta l’attività di ricerca in funzione del processo educativo e formativo dei suoi allievi. Questa figura di insegnante ricercatore, delineata dall’impegno e dalla creatività di molti docenti che praticano la sperimentazione, non è assimilabile a quella di insegnanti che fanno ricerca disciplinare in collaborazione con l’università o altri enti.

Questi insegnanti innovatori ritengono indispensabile perseguire la propria preparazione professionale e disciplinare alimentando la curiosità intellettuale e l’accrescimento delle proprie competenze, attraverso progetti di ricerca che abbiano una ricaduta nell’ambito del lavoro scolastico.[1] Scoprono, cioè, una nuova dimensione del proprio lavoro e sarebbe auspicabile a questo punto che il nuovo profilo dell’insegnante ricercatore ottenesse un riconoscimento ufficiale nell’ambito dell’istituzione scolastica.

Il laboratorio può dunque essere definito anche come luogo mentale, cioè una pratica del “fare storia”, che valorizza la centralità dell’apprendimento e mette in stretta relazione l’attività sperimentale degli allievi con le competenze storiche degli insegnanti.

Non si tratta soltanto di imparare e/o di insegnare la storia, ma di “fare storia”, cioè di sperimentare operativamente e di misurarsi concettualmente con la complessità e la problematicità dei processi storici.[2]

Può essere utile, a questo punto, dare qualche cenno sulla progettazione e lo sviluppo di un percorso didattico, anche se in modo necessariamente schematico. Si parte dall’individuazione di un’ipotesi di ricerca e la conseguente tematizzazione e problematizzazione dell’argomento scelto, si opera la contestualizzazione storica e la scelta dei documenti e delle procedure utilizzabili; si sviluppa, quindi, l’ipotesi iniziale sulla base dei documenti selezionati attraverso l’analisi critica delle fonti per giungere alla verifica del punto di partenza.

L’utilizzo didattico dei documenti serve anche a sviluppare le domande degli allievi per interrogare il passato con gli occhi del presente. L’insegnante deve sottoporre ai ragazzi documenti “comprensibili”, a seconda del livello di scuola, e, giungere alla conoscenza dell’argomento, intrecciando storicamente i dati storici e le fonti.

In tal modo la procedura laboratoriale insegna ai ragazzi a pensare storicamente. Dino Nardelli dà un’esplicazione di questa definizione: “Il Laboratorio è anche limes, luogo di confine tra uno spazio progettato per porre domande al presente attraverso la ricerca storica e il presente, scorrendo fuori dalle pareti della scuola, lascia tracce da ordinare, interrogare, interpretare per mettere in condizione gli studenti di rispondere alle domande fondamentali del pensare storicamente: cosa faccio “qui”, in “questo tempo”, come ci sono arrivato, come vorrei restarci.”[3]

E’ sempre molto utile che il docente elabori una scheda didattica, articolata in osservazioni preliminari e in obiettivi (disciplinari, logico-operazionali, affettivo-relazionali, organizzazione del lavoro)[4], e che tenga un ragionato diario di bordo e del processo educativo che si viene a sviluppare.

La comunicazione degli esiti della ricerca, con l’individuazione della modalità più adatta di socializzazione (racconto, ipertesto, video, relazione storiografica, ecc.) va considerata parte essenziale del percorso didattico.


[1] A questo proposito rimando a un interessante documento prodotto dai venti docenti che hanno seguito la ricerca progettata dall’Insmli e dal Miur, “Memoria e insegnamento della storia contemporanea” (1999-2002), di cui sono in corso di pubblicazione gli atti. 

[2] cfr. L. Lajolo, La didattica laboratoriale, in G. Bertacchi, L. Lajolo, L’esperienza del tempo. Memoria e insegnamento della storia, Torino, Ega, 2003, pp. 33-36.

[3] Dino Renato Nardelli, gli archivi scolastici tra ricerca e didattica, in M.T. Sega (a cura di) La scuola fa la storia, cit., p.118.

[4] P. Biancardi, Andare a scuola durante il fascismo e la guerra, in M.T. Sega (a cura di), La scuola fa la storia, cit..


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