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Che cosa succederebbe se insegnanti e genitori tornassero a raccontare favole?

di Patrizia Appari

 

Le ipotesi – ha scritto Novalis – sono reti: tu getti la rete e qualcosa prima o poi ci trovi”.1

 

Le società sono plasmate, affermava McLuhan, dal tipo di media utilizzato, dai caratteri del linguaggio a cui si ricorre.

Nel passaggio dall’egemonia dei linguaggi verbali (orali e scritti) a quella dei linguaggi digitali si osservano serie di mortificazioni nella cultura a partire dalle nuove generazioni.

Attraverso i nuovi linguaggi il lettore interagisce sempre meno con il reale e sempre di più con immagini preconfezionate del reale che producono: assimilazione di modelli, introiezioni degli eroi/miti e proiezioni edificanti in essi, identificazioni nelle vicende affettivo-emotive e conseguente virtuale soddisfacimento.

I nuovi media non hanno bisogno di conquistare i loro clienti, li generano direttamente.

Il bambino del terzo millennio nasce media-utente, si alfabetizza precocemente per vivere nell’iconosfera che lo avvolge. La vista e l’udito si fanno dominanti e condizionano la complessiva maniera di relazionarsi con l’ambiente e con gli altri. Se nelle nuove generazioni primeggia l’abilità di leggere segni e simboli, la capacità attentiva e la capacità analitica e creativa si attenuano.

La famiglia ha dimenticato la favola, la scuola l’ha presa raramente in considerazione.

L’infanzia odierna viene educata dagli agenti formativi di nuova generazione che si collocano in un regime di concorrenzialità commerciale giustificando il ricorso alla standardizzazione dei prodotti, per questa ragione gli oggetti narrativi a genesi tecnologica hanno acquisito la loro legittimazione e hanno sostituito le narrazioni originate dal vissuto e dalla cultura dell’umanità privando i più piccoli dell’esperienza socio-affettiva insita nel rapporto educativo interpersonale.

Gli educatori, genitori o insegnanti che siano, avvertono la difficoltà di motivare le nuove generazioni al mondo del narrativo, non sono in grado di competere con l’accelerazione, la frenesia, lo scadimento dei valori che, nella società, hanno costretto al declino il rituale del raccontare fiabe e favole ai bambini.

Società e scuola hanno dimenticato la cultura dell’uso educativo del racconto della fiaba e della favola.


Fiabe e favole dimenticate.

 

“La fiaba è un’avventura magica a lieto fine”.2

La fiaba è un testo slegato da ogni necessità di rigore logico, tramandato per chiarire i processi interiori che hanno luogo in un individuo.

Essa, spesso, amplifica aspetti dell’esistenza, della vita che assurgono ad archetipici, rendendoli, così, più comprensibili rispetto alla complessità che caratterizza la realtà.

La fiaba aiuta l'individuo a superare le proprie tensioni interiori attraverso un processo di identificazione nel protagonista che crea coinvolgimento e permette all'individuo di proiettare se stesso nella storia vivendola  in prima persona.

La fiaba non propone una visione ideale: è racconto del reale che ripropone i temi classici dell’esistenza  e prevede un lieto fine.

“Le fiabe servono soprattutto alla formazione della mente: di una mente aperta a tutte le direzioni del possibile. Toccano, nel bambino, la molla dell’immaginazione: una molla essenziale alla formazione di un uomo completo”.3

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La fiaba è un prezioso materiale educativo in grado di contribuire allo sviluppo cognitivo e linguistico nonché allo crescita del pensiero creativo nel bambino.

La fiaba rappresenta lo strumento naturale di avvicinamento alla parola come mezzo primario per ristabilire tangibili relazioni comunicative tra generazioni, per iniziare alla vita adulta, per instaurare relazioni tra adulto e bambino, dove, nella relazione d’ascolto tra narratore e ascoltatore si attivano fruttuosi momenti di corrispondenza di propositi e di affetti; dove il linguaggio orale, il parlare, il raccontare diventa narrazione biunivoca.

Il racconto fantastico accosta al mondo dell'immaginazione, interiormente connesso con il piano emozionale dell’individuo.

Attraverso la fiaba il bambino esprime la propria libertà di assumere infiniti stati di essere. La fantasia e l'immaginazione forniscono il contesto in cui egli può diventare ciò che vuole.

La libertà di poter diventare qualsiasi cosa viene vissuta, sperimentata ed affiancata, anziché soppiantata, dalla capacità di discernere; il giovane conoscerà il mondo reale acquistandone in creatività, acutezza, capacità di risolvere i problemi ed elaborare le soluzioni in modo ispirato e brillante.

I bambini che vengono favoriti e guidati nel processo di liberare la propria fantasia mostrano maggiore indipendenza dagli schemi, abilità straordinaria nell'elaborare personalmente le informazioni acquisite e maggiore facilità nell’apprendimento.

Da adulti saranno creatori di modelli piuttosto che prigionieri nei modelli altrui.

 

Perché non riconsiderare la fiaba come oggetto didattico?

 

La fiaba come strumento didattico ha avuto modesto successo a periodi alterni e nel momento nel quale l’invadenza dei media si è imposta come assoluta è stata relegata nelle biblioteche tra i tanti oggetti del passato.

Le fiabe restano un territorio di dialogo perché contengono, come ha scritto Italo Calvino, tutti i destini che possono accadere ad un uomo e a una donna.

E’ nell’introduzione della raccolta Fiabe italiane (Oscar Mondadori, 1968, due volumi) che si legge che le fiabe sono vere. “Sono … una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che appunto è il farsi di un destino: la giovinezza, dalla nascita che sovente porta in sé un auspicio o una condanna, al distacco da casa, alle prove per diventare adulto e poi maturo come essere umano”.

E il destino umano continua a coinvolgere tutte le generazioni e, in particolare, i più piccoli, che si proiettano nel mondo con ottimismo ma anche con le inquietudini che inevitabilmente la vita loro propone nel gorgo di avventure esemplari.

Le fiabe rimangono un territorio fertile dove si costruiscono, nel magico filo della narrazione, relazioni ed emozioni che hanno la potenza evocativa dell’evento teatrale.

La lettura a voce alta, per i bambini piccoli, per i ragazzi, per gli adulti è la prima, fondamentale pratica di avvicinamento alla letteratura.

Il primo lettore si forma nell’ascolto.

La fiaba contribuisce allo sviluppo dell’immaginazione, allo sviluppo creativo; avvalora la relazione educativa; è motivo di iniziazione all’uso del linguaggio e di educazione all’ascolto; attraverso l’appropriazione del codice semantico del fiabesco predispone alla conoscenza della struttura narrativa e al gusto per la lettura.

Il bambino per imparare a destreggiarsi nella vita e superare quelle che sono realtà impressionanti, ha bisogno di conoscere se stesso e il complesso mondo in cui vive. Gli occorre un'educazione morale per dare ordine e coerenza alle dimensioni interiori; gli occorrono esempi  che gli indichino i vantaggi di comportamenti adeguati non trasmessi mediante concetti etici astratti bensì mediante ciò gli appare tangibilmente giusto e quindi di significato riconoscibile.

Il bambino può trovare questo tipo di significato nella fiaba che ne cattura l'attenzione, lo diverte, suscita il suo interesse e stimola la sua immaginazione?

La fiaba popolare che oggi può apparire anacronistica, trasmette messaggi sempre attuali e conserva significati profondi. Essa si adegua alla mentalità infantile, al suo disordinato contenuto di aspirazioni, angosce, frustrazioni e parla lo stesso linguaggio non realistico dell’infanzia. Tratta di problemi umani universali, porta esempi di soluzioni alle difficoltà.

La fiaba è atemporale e i suoi personaggi incarnano le contraddittorie tendenze del bambino e i diversi e problematici aspetti del mondo. Le situazioni fiabesche, rispecchiando la visione magica infantile delle cose, esorcizzano incubi, placano inquietudini, aiutano a superare insicurezze e crisi esistenziali, insegnano ad accettare le responsabilità e ad affrontare la vita.

 

Nell’educazione dei bambini leggere ed avere chi ci legge sono mezzi essenziali di educazione. La comprensione di ciò da parte di genitori e di insegnanti, mi auguro faccia tornare le fiabe a ricoprire quel ruolo centrale nella vita del bambino che ebbero per secoli.” (dall’introduzione de “Il mondo incantato” di Bruno Bettelheim, 1977).

 

1. G. Rodari, Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino, 1973

2. S. Spini, Dalla fiaba al fumetto, Marietti, Milano, 1982

3. G. Rodari, Presentazione a Andersen, Fiabe, Einaudi, Torino, 1970 

 

Bibliografia

 

Argilli, Marcello, Ci sarà una volta, Nuova Italia, Firenze, 1995
Bettelheim, Bruno, Il mondo incantato, Feltrinelli, Milano, 1977

Calvino, Italo, Introduzione a fiabe italiane, Mondadori. Milano, 1968

Rodari, Gianni, Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino, 1973

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